Enrico Della Torre

04.06.2009

Incontro del  4 giugno 2009


Il ciclo si conclude il 4 giugno 2009 con l'incontro con Enrico Della Torre, presente con un importante nucleo di opere nella collezione del Museo.

Il pittore e incisore milanese è accompagnato da Lucia Pedrini-Stanga, storica dell’arte e da Fabrizio Parachini, pittore e critico d’arte. L’incontro si apre con la proiezione del video di Sergio Petracchi La realtà di Enrico Della Torre della durata di quindici minuti. Il filmato, introducendo il pubblico all'universo artistico di Della Torre, ci offre anche una chiave di lettura del suo operato e della sua poetica. Le opere allestite nella saletta ripercorrono il percorso dell’artista dal 1953 al 1967. 


Lucia Pedrini-Stanga

Questo incontro prevede dapprima la proiezione di un filmato intitolato La realtà di Enrico Della Torre[1], prodotto da Sergio Petracchi. Il filmato ci offrirà anche una chiave di lettura del suo operato e della sua poetica, aprendoci la porta sull’universo artistico di Della Torre.

Come sentiremo, il regista avrebbe voluto ritrarlo nel suo atelier, nel momento della fase creativa. Proposta che l’artista non ha accettato per una forma di naturale pudore e ritrosia. In un tempo come il nostro, caratterizzato dall’enfasi e dalla spettacolarizzazione ad ogni costo, il pudore, il metodo, l’approfondimento in controtendenza di Enrico Della Torre fanno riflettere.

Mi sembra tuttavia utile ricordare, almeno per sommi capi, alcune tappe del suo percorso biografico e artistico, in parte già emerso dal filmato che abbiamo appena visto.

Enrico Della Torre è nato nel 1931 a Pizzighettone (Cremona), un paese il cui nome sembra uscito da un racconto di fiabe e un paese che, a sua volta, lo stesso pittore trasformerà in fiaba in molti suoi quadri, che si nutrono delle emozioni e dei ricordi suscitati dal paesaggio della pianura cremonese, dove l’Adda si incontra con il Po. Non mi si fraintenda.  Quando parlo di fiabe non intendo certo alludere ad un’arte ingenuamente positiva, a bamboleggiamenti o a uno spirito naïf. Parlo piuttosto del ‘favoloso’, così come lo intende Italo Calvino - autore peraltro molto amato da Enrico Della Torre - che appunto predilige l’immaginario, il favoloso e che nelle sue Lezioni Americane scrive: “Se ho incluso la visibilità nel mio elenco dei valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi […], di pensare per immagini.”

È all’incirca lo stesso concetto ribadito anche da Della Torre, che nei suoi taccuini di appunti, pubblicati nel 1996, scrive: “Le cose osservate, quando si è pienamente distesi assumono un aspetto fantastico. È da questa visione delle cose, da questa capacità di guardarle, che un pittore comincia a dipingerle”.

Ma torniamo ora ai dati biografici. Dalla provincia di Cremona Della Torre si trasferisce a Milano nei primi anni Cinquanta, dove si forma all’Accademia di Brera. Vive tuttora a Milano, alternando la sua attività tra il capoluogo lombardo e Teglio, in Valtellina.

Dopo la prima mostra nel 1956 alla Galleria dell’Ariete a Milano, ha allestito molte personali in Italia, Germania, Austria e Svizzera, di cui trovate qui alcuni cataloghi esposti nella bacheca. L’opera  di Della Torre ha ispirato le letture critiche di numerosi studiosi, tra cui Carlo Bertelli, Gianfranco Bruno, Rosa Pierno, ed è presente in collezioni nazionali e internazionali.

Per dovere di cronaca, ricordo solo che nel 1999 Della Torre ha ricevuto a Roma la prestigiosa nomina di ‘Accademico di San Luca’ e che, per quanto ci riguarda, nel 2001 Villa dei Cedri gli ha dedicato una mostra per presentare il nucleo di 110 opere donate al museo. Proprio in questi giorni si inaugurerà a Ghiffa, nella vicina provincia di Verbania, una sua personale dedicata alla recente produzione di opere su carta e incisioni (più esattamente l’ultimo quindicennio di attività), curata da Fabrizio Parachini, che è qui con noi oggi.

Le opere che vediamo esposte in questa saletta sono una selezione effettuata dallo stesso artista del  fondo conservato a Villa dei Cedri. Fondo costituitosi grazie alla generosa donazione di Enrico Della Torre e della moglie Christa, che nel 2001 hanno destinato a Villa dei Cedri 110 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, che coprono un arco cronologico compreso tra il 1953 e il 2000. Per questa occasione l’artista ne ha scelte 21, che dovrebbero delineare, in estrema sintesi, una sorta di antologia ideale di un cinquantennio di attività.

Con questo fondo, accanto a quello di Giulia Napoleone, di Renzo Ferrari, di Massimo Cavalli, di Paolo Mazzuchelli e di altri ancora, Villa dei Cedri ribadisce la volontà di operare nel solco di un discorso regionale aperto, attento alla ricerca artistica attuata nella regione dal secondo Ottocento ad oggi, attraverso le personalità di maggior rilievo. La collezione del museo vuole infatti riflettere l’identità di questo nostro territorio, di questa lingua di terra incuneata tra le alpi e la pianura padana. Per l’identità culturale ticinese la Lombardia ha sempre rappresentato un tassello importante. Dal 1776, anno di fondazione dell’Accademia, Brera diventa rilevante polo d’attrazione per gli allievi provenienti da quest’area. Basti pensare agli Albertolli, ai Canonica, ai Mercoli, ecc., a tutta un’interminabile schiera di maestranze, su su fino ai nostri giorni.

Lo stesso Paolo Mazzuchelli nel corso dell’incontro tenutosi al museo nello scorso mese di maggio, ricordava l’importanza che avevano avuto Milano e Brera nella sua formazione.

Nei primi anni Cinquanta Enrico Della Torre incontra proprio a Brera il ticinese Massimo Cavalli, con il quale condivide esperienze di formazione e di lavoro. Della Torre, così come anche Cavalli, si qualifica nella duplice veste di pittore e incisore. In lui, come in Cavalli, l’incisione non è un semplice hors-d’oeuvre – come disse Dante Isella – ma il piatto forte. Non un semplice esercizio collaterale, ma un campo espressivo della stessa importanza della pittura. In lui, come in Cavalli, la corrispondenza e la complementarietà tra attività grafica e pittorica è strettissima. Guai a scorporarle. E d’altronde lo vediamo anche in questo allestimento, che alterna dipinti e opere su carta.

L’autore le ha volute disporre secondo un criterio cronologico: entrando, sulla destra, troviamo le opere giovanili, realizzate dal 1953, cioè due anni dopo la conclusione degli studi a Brera, fino al 1967.

La fine degli anni Sessanta segna infatti un discrimine. Nel 1968 si attua una svolta e prende avvio un secondo grande periodo, che prosegue fino al 2000. All’interno di questi due periodi, si inseriscono ovviamente altri momenti, altre stagioni che vedremo di commentare.

Le opere del primo periodo che vediamo sulla parete di destra sono prevalentemente dedicate a temi di paesaggio. Nel filmato appena visto, Della Torre racconta che andava lungo il fiume del suo paese natio con le lastre, che venivano poi incise direttamente sul posto. In presa diretta, un po’ alla stregua degli impressionisti, di Monet e delle sue variazione sul motivo (dell’acqua, del tramonto, delle ninfee). Nel suo caso, il tema principale è l’Adda o la pianura cremonese solcata dal fiume in varie stagioni e in vari momenti del giorno. L’acquaforte intitolata Fiume [1. Fiume, 1955, acquaforte, 185 x 148 mm], del  1955 , è la prima incisione della serie dedicata all’elemento fluviale. Il fiume è qui osservato da lontano. Le linee si dispongono come una trama di segni che riescono quasi a far sentire il movimento e il fruscio delle canne che si piegano e lo sciabordio dell’acqua. In questa incisione, come nella china intitolata Fiori [2. Fiori, 1953, inchiostro di china su carta, 34,5 x 25,5 cm], del 1953, che vedete accanto, si avverte l’eco dell’Informale a cui Della Torre si avvicina per scrollarsi il peso della cultura e dell’insegnamento novecentesco di Brera.

Ma sarà una stagione, quella dell’Informale, di breve durata, perché l’enfasi, l’eccesso di gesto non sono consoni alla personalità più razionale e più portata all’interiorizzazione di Della Torre.

Infatti, già nel 1958, nell’acquaforte Costruzioni orizzontali [3. Costruzioni orizzontali, 1958, acquaforte, 145 x 230 mm], qui esposta, si distanzia dall’Informale, dal suo enfatismo e dalla sua gestualità.

Rimane la figura del paesaggio ma ridotta a linee essenziali, orizzontali che riflettono più un’immagine interna del pittore che un riscontro oggettivo.

Della Torre compone una sorta di pulizia della visione, che ritroviamo puntualmente anche nell’olio, pure del 1958, che vediamo alla parete, intitolato Orizzontali [4. Orizzontali, 1958, olio su tela, 45 x 55 cm], e che ritrae un muro, osservato dal suo atelier,  percorso da un glicine, di cui resta ora solo l’astratta sintesi. Si noti la distanza che lo separa dall’opera a china di qualche anno prima, qui accanto, intitolata Fiori (1953),  in cui l’emozione della natura e l’immersione nella stessa è espressa in un affollarsi di segni.

Se si dovesse riassumere il linguaggio di Della Torre con una figura retorica, direi che la sua opera potrebbe essere una sinestesia, per la sua capacità di sollecitare, attraverso l’incisione o la pittura, sfere sensoriali diverse, di far sentire, oltre che di far vedere, il fruscio, il brulichio della vita del fiume, il profumo dell’aria, il movimento dell’acqua che scorre.

Il paesaggio fluviale della pianura cremonese è un motivo ricorrente nella produzione di Della Torre, caratterizzata da un continuo colloquio con il paesaggio, o meglio da un bisogno di identificarsi con il paesaggio, soprattutto con quello della sua giovinezza, che continua a stimolarlo e a commuoverlo e che ne La luna e i falò fa dire a Cesare Pavese:  “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Ma torniamo ora all’olio su tela di cui parlavamo. Orizzontali è infatti un dipinto significativo nel percorso dell’artista, perché prelude la ricerca di Della Torre sul segno, che lo porterà a una distillazione formale, come si vede nelle opere esposte sull’altro lato della bacheca e della parete. Rispetto a quanto abbiamo visto del primo periodo, queste sono opere più essenziali, come l’acquaforte Ninfa [5. Ninfa, 1978, acquaforte, 160 x 187 mm], del 1978 o l’acquatinta Elegia [6. Elegia, 1978, acquatinta, 175 x 168 mm], pure del 1978, delicata e onirica, anche grazie a quell’effetto di “craquelure” e a quelle trasparenze, che ricordano la rarefatta pittura giapponese.

Partendo dall’osservazione della natura e della realtà, qui l’artista giunge a una trasfigurazione più che a un’astrazione della realtà.

Della Torre sembra far suo l’assunto di Kandinski “L’arte astratta non rifiuta, ma coglie l’essenza della natura, svelandone il suono interiore”.

Dal 1968 vi è poi un’altra svolta nell’arte di Della Torre: dal felice stupore suscitato dal mondo visibile si passa allo scavo di un mondo sotterraneo, interiore. Dalla solarità del giorno all’ombra della notte, dove un mondo di fantasmi e di creature dell’inconscio riflettono una crisi e un disagio sociale. Si osservi a questo proposito l’acquaforte e l’acquatinta Personaggi [7. Personaggi, 1980, acquaforte, acquatinta, 126 x 162 mm], del 1980 e in particolare la tela Trappola [8. Trappola, 1980, olio su tela, 71 x 87 cm], pure del 1980, caratterizzata da una cromia tenuta su una gamma di toni scuri, che dal marrone tendono al nero e dalla presenza inquietante di creature ambigue che emergono dalla notte per scrutarci con i loro occhi puntuti.

Non per nulla a partire dal 1968 Della Torre introduce, accanto all’acquaforte, anche l’uso dell’acquatinta, dal forte potere evocativo e drammatico (pensiamo qui alle acquetinte di Goya).

Nel mondo sommerso di queste opere si sente l’influsso del Surrealismo a cui Della Torre guarda “quando – dice l’artista nel suo taccuino – dopo lo svisceramento estenuato della forma si rischia di farla vuota di contenuto, bisogna saltare uno spazio dell’inconscio per trovare la possibilità di raccontare di nuovo.”

E questa possibilità di “raccontare di nuovo” la troverà aderendo a un astrattismo di tipo più geometrico, non immemore della lezione di Cézanne.

Un esempio fra tutti Fondo nero [9. Fondo nero, 1991, olio su tela, 50 x 65 cm], un olio del 1991, dove ancora una volta torna l’acqua, il nero (che Della Torre fa risalire addirittura a Caravaggio) e alla sua “idea astratta della realtà”, i toni blu e verdi. C’è poi il motivo del triangolo che a partire dagli anni Ottanta ritorna in molte sue opere e di cui forse il pittore ci può dire qualcosa. Si tratta forse di emozioni e di sensazioni suscitate dall’osservazione dei paesaggi lombardi, con le sue architetture dai volumi essenziali e rigorosi, con i suoi campanili romanici?

Nel pastello del 1990 Estate [10. Estate, 1990, pastello su carta, 38 x 46 cm],è ancora la natura a ispirare il pittore e Della Torre riesce a raccontare senza descriverla, solo attraverso una pittura geometrica con variazioni tonali giocati sui colori freddi dell’azzurro e del verde, imbevuti però di luce, di giallo, che fa vibrare la superficie e riesce a farci sentire la tremula consistenza dell’aria, tipica della calura estiva.

Le incisioni che vediamo nell’anticamera esterna fanno parte della cartella Blu, con la prefazione di Gillo Dorfles, del 1994.

Qui troviamo esposte Alba, Acqua, Notte [11. Notte, 1993, bulino con barbe e acquatinta, 119 x 299 mm]: è tutto un mondo fantasmagorico che viene imbrigliato in segni e strutture geometriche. Anche per questo si è parlato di Della Torre come di un artista “nordico”. Non so se  l’artista sia d’accordo con questa definizione…

Il pensiero va anche a Klee, al suo lirismo, alle sue fragili costruzioni, ai suoi sottili segni ritmici.

Osserviamo ad esempio Storia d’insetti [12. Storia d’insetti, 1995, ceramolle, bulino con barbe e carborundum su due matrici, 245 x 990 mm], un’incisione del 1995. Vi è in questa composizione  dall’atmosfera sognante, una voluta semplicità, un’esattezza di ritmi. È una costruzione basata su elementi lineari e geometrici, che sembrano estremamente fragili e delicati. È una struttura tutta sviluppata in orizzontale e scandita dal ripetersi di strutture filiformi che ricordano Gli effimeri di Fausto Melotti, una scultura fatta con aste verticali di ottone, inframmezzate da sottili forme, simili a insetti stilizzati.

Per concludere, sono sicura che se Calvino avesse scritto oggi la sua lezione sulla leggerezza, nelle Lezioni americane avrebbe dedicato una pagina a questa incisione e, accanto alla scultura di Melotti o alla carrozza descritta da Shakespeare in Romeo e Giulietta come “un guscio di nocciola … con lunghe zampe di ragno come ruote, … scarrozzate da un equipaggio di atomi impalpabili”, avrebbe messo anche questa Storia di insetti di Della Torre.

 

Enrico della Torre

Un pittore a quello che fa o ha fatto non può aggiungere o non deve aggiungere altro. Solo vorrei fare una considerazione prendendo lo spunto da una nota che mi è capitato di leggere in questi giorni. Giacomo De Benedetti in un saggio su Alberto Savinio accennava che secondo gli antichi Greci la parola “poeta” equivaleva a “applicatore”.  Mi ha molto chiarito questa parola. Si può dire che anche un pittore è un “fabbricatore di immagini” che, a seconda del momento in cui con attenzione pensa, desidera o sogna, avventurandosi, costruisce in maniera sempre infedele.

Non chiedete al pittore perché ha fatto quella cosa. Solitamente lui è il primo meravigliarsi di quella cosa che, come per incanto, ha preso vita per sempre.

 

(Bellinzona, 4 giugno 2009)

 


[1] Sergio Petracchi, La realtà di Enrico Della Torre, DVD, 15”.

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